Domenica 05 Settembre ’21, la Santa Messa sarà celebrata alle ore 8.30 nella chiesa di S. Pietro.
Brani della XV Domenica dopo Pentecoste:
Asperges me | Kyriale pag. 6 |
Kyrie – Gloria – Sanctus – Agnus Dei (Missa XI Orbis factor – In Dominicis per Annum) | Kyriale pag. 46 |
Credo I | Kyriale pag. 67 |
Communio – Ubi caritas et amor | Cantus Selecti pag. 17 |
Finale – Stabat Mater | Cantus Selecti pag. 126 |
Dall’archivio: XV Domenica dopo Pentecoste 2012
(Gal 5,25-26; Lc 7,11-16)
9 settembre 2012
Gesù ha risuscitato un ragazzo, figlio unico di una donna già provata dal dolore perché vedova, e vedova in giovane età – possiamo pensare – perché madre di un solo figlio.
Gesù è il Dio della vita, colui che vuole rendere buona la vita dell’uomo. Egli ci aiuta a rendere buona la nostra vita con tutta una serie di aiuti, anche con le parole di Paolo che abbiamo sentito nella prima lettura. Le parole di Paolo sono Parola di Dio, e la Parola di Dio è forte, efficace, produce ciò che significa e dice (Ebr 4,12). Ascoltiamo questa Parola, ed essa renderà buona la nostra vita.
Paolo sta scrivendo ad una comunità, e indica quattro cose, quattro atteggiamenti, che servono molto ad una comunità perché la sua vita sia buona e serena; e insieme, queste indicazioni, servono a costruire personalità mature e positive, di cui ogni comunità ha grande bisogno.
Il primo atteggiamento è la carità. Paolo dice: “portate gli uni i pesi degli altri”. È l’opposto di quello che normalmente si sente dire: “ognuno ha il proprio peso, e ciascuno deve affrontare i propri problemi”. Sì, ciascuno ha il proprio peso e deve affrontare i propri problemi, ma Paolo dice: “portate gli uni i pesi degli altri”. Questo invito di Paolo ci spinge a pensare che ciascuno dei nostri fratelli possa avere dentro di sé un qualche peso, anche se magari non lo dà a vedere; ci provoca a considerare e a tenere conto che ogni persona possa essere nella fatica del cammino, chi per un motivo e chi per un altro, e che nessuno proceda nella vita proprio allegramente, perché qualche problema, qualche preoccupazione, qualche sofferenza nel cuore ognuno probabilmente ce l’ha.
Ecco ciò a cui ci invita san Paolo: essere aperti ai pesi degli altri, essere sensibili alle situazioni dei fratelli, rapportarsi con loro in modo che sentano di poter parlarci e confidarci i propri problemi, così che li possiamo aiutare. Questo è fare comunità, questo è fare comunione.
Il secondo atteggiamento che Paolo suggerisce per una vita di comunità buona e serena è l’umiltà. “Non cercate la vanagloria, egli dice; se uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso”. La superbia e l’orgoglio sono nemici della comunione e della comunità; fanno ammalare la comunità. È brutto il complesso di inferiorità, ma è ancora più brutto il complesso di superiorità. Il complesso di inferiorità fa soffrire chi ne è affetto; il complesso di superiorità fa soffrire gli altri, li umilia e li fa stare male.
L’umiltà invece favorisce i rapporti, li rende fluidi, facili, sereni, piacevoli, gioiosi. Dall’umile nessuno sente il bisogno di difendersi; davanti all’umile ciascuno sente di poter aprire il proprio cuore perché si sente accolto, ascoltato, non giudicato, non minacciato.
Il terzo atteggiamento che Paolo indica è il senso di responsabilità. “Ciascuno – egli dice – esamini la propria condotta”. Una grande tentazione in cui è facile cadere è quella di esaminare la condotta degli altri. Siamo molto attenti a come gli altri si comportano, a cosa dicono, a cosa fanno, a come si atteggiano, alle scelte che compiono. Se non stiamo attenti viviamo molto fuori di noi, riversati su gli altri e poco rivolti a noi stessi, al nostro cuore, ai nostri pensieri, alle nostre parole, alle nostre azioni. Invece sono queste le cose a cui dobbiamo prima di tutto badare, queste le cose molto da curare e di cui stare attenti, perché siano buone e in ordine. È sulla nostra vita che è importante tenere gli occhi aperti, anche perché l’andamento della comunità, della famiglia, della Chiesa, del nostro ambiente di lavoro dipende anche da noi. “Dipende anche da me”, deve dire ciascuno di noi; “dipende anche da me come va la comunità, la famiglia, la Chiesa, l’ambiente di lavoro”.
Dobbiamo avere vivo questo senso di responsabilità e tenere presente l’ammonizione di san Paolo: “Ciascuno esamini la propria condotta”. Un giorno un giornalista, nel corso di un’intervista, chiese a Madre Teresa di Calcutta: “Madre, che cosa cambierebbe lei nella Chiesa, che cosa dovrebbe essere migliorato?” – “Io e lei”, rispose secca Madre Teresa, e al giornalista non rimase molto altro da chiedere…
Il quarto atteggiamento che Paolo indica per un buon andamento della comunità e per la costituzione della persona è la perseveranza. “Fratelli, non stanchiamoci di fare il bene – egli dice -. Se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo”.
La perseveranza è il completamento del bene. A poco varrebbe aver cominciato, se poi ci si ferma e non si persevera, se ci si stanca e non si arriva fino in fondo. Questo vale sia nella costruzione di se stessi che nella vita di comunità. Sono molti gli ostacoli, le fatiche, le difficoltà che vorrebbero farci desistere dal bene intrapreso, ma la perseveranza ce li fa superare tutti, fino al traguardo.
La perseveranza nei buoni propositi è una grazia da domandare, da chiedere al Signore, perché la nostra perseveranza ha bisogno della sua forza, della sua grazia, della sua onnipotenza.
“A suo tempo mieteremo”, assicura san Paolo. La perseveranza non resta senza frutti, porta frutti! E frutti grandi, frutti autentici, frutti maturi. “A suo tempo”, dice Paolo, dopo magari lungo tempo, ma li porta di sicuro, li porta con certezza.
Gesù risuscitò un giorno un ragazzo a Nain; che egli risusciti in noi, nella misura in cui ne avessimo bisogno, la nostra carità, la nostra umiltà, il nostro senso di responsabilità, la nostra perseveranza. Per una vita e una comunità serena e gioiosa.
Don Giovanni Unterberger