Domenica 13 Febbraio ’22, la Santa Messa sarà celebrata alle ore 8.30 nella chiesa di S. Pietro.
Brani della domenica della Domenica in Septuagésima:
Asperges me | Kyriale pag. 6 |
Kyrie – Sanctus – Agnus Dei (Missa XI – Orbis factor) | Kyriale pag. 46 |
Credo I | Kyriale pag. 67 |
Communio – O salutaris Hostia | Cantus Selecti pag. 6 |
Finale – Beata Dei Genitrix | Cantus Selecti pag. 166 |
Domenica di settuagesima
( 1 Cor 9,24-27; 10,1-5; Mt 20,1-16)
Belluno, 12 febbraio 2012
Penso che a nessuno di noi verrebbe spontaneo dire quello che San Paolo ha detto di sé nella prima lettura che abbiamo ascoltato, e cioè: “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Mi compiaccio delle mie infermità sofferte per Cristo, perché quando sono debole è allora che sono forte”. Compiacersi delle proprie debolezze!
No, a me almeno, non viene da dire così; verrebbe da dire l’esatto contrario; verrebbe da dire: “è quando mi sento forte che sto bene e sono contento; è quando posso contare su di me e sui miei successi, sul vedere che riesco a fare le cose così come voglio, che mi sento bene, sono soddisfatto e mi sento realizzato.
San Paolo aveva dei motivi molto validi per sentirsi forte, per sentirsi “qualcuno”. In polemica con i giudaizzanti che tentavano di intaccare la sua autorità di apostolo, egli mette avanti tutta una serie di dati, di elementi, che lo mettevano in posizione di vantaggio rispetto a loro. Dice: “anch’io sono ebreo come loro, appartengo al popolo dell’alleanza come loro; ma molto più di loro ho lavorato e sofferto per il Vangelo: sono stato fustigato, lapidato, cercato a morte; ho sofferto la fame, la sete, il freddo, il sonno, l’ostilità della gente e la persecuzione; per di più ho avuto visioni e rivelazioni da parte di Dio, e sono stato rapito in estasi fino al terzo cielo, in paradiso! Vi pare poco? Eppure non di queste cose mi vanterò.”
Il verbo “vantarsi” che San Paolo qui usa, significa propriamente “basarsi, fondarsi, appoggiarsi su qualche cosa”. Non è su queste cose che io mi appoggio, mi fondo e pongo la mia sicurezza, la mia personalità, la mia consistenza, dice Paolo. Io infatti sono debole, ho tanti limiti, mi capita in tanti momenti e in tanti modi di non riuscire ad ottenere i risultati che vorrei (Paolo parla di una spina che gli punge la carne, alludendo alle difficoltà, agli ostacoli, agli insuccessi nel suo apostolato).
Ho pregato tre volte il Signore (tre volte sta per insistentemente), che mi togliesse questa spina, che mi facesse forte, ben attrezzato e sempre vincitore, e lui mi ha risposto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”, il che, tradotto in altre parole, significa: “Ti lascio la tua debolezza, la tua incapacità, il tuo limite, ma non temere: anche se sei debole, c’è la mia grazia; e nonostante la tua debolezza, anzi, attraverso la tua debolezza, la mia potenza agisce, e compie il mio disegno, ciò che io voglio operare. Fidati; io sono potente dentro la tua debolezza, dentro il tuo nulla”.
Per cui Paolo esclama ciò che abbiamo già ricordato: “Perciò mi vanterò, mi appoggerò ben volentieri sulle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Mi compiaccio delle mie infermità sofferte per Cristo, perché quando sono debole è allora che sono forte”. Paolo è uomo di fede. Paolo è uomo che accetta il suo limite, sicuro che esso non è ostacolo all’agire di Dio. Messaggio di grande importanza e di grande consolazione per noi.
Anche noi ci sentiamo deboli, deboli nel fisico a mano a mano che gli anni passano e fanno sentire il loro peso sulla nostra carne e sulla nostra psiche; deboli di fronte a progetti di vita che avevamo sognato e ci eravamo proposti, e che non riusciamo a realizzare (a livello di famiglia, di professione, di relazioni); deboli di fronte al bene da compiere, alla virtù da vivere, alla santità da praticare. Ma tutto ciò non è ostacolo all’azione di Dio; Dio è potente, è così potente che è capace di operare salvezza, bene e disegni d’amore anche nella nostra debolezza, anche attraverso la nostra debolezza. Dobbiamo avere fede. Dobbiamo guardare più a lui che a noi, più alla sua potenza che alla nostra debolezza. Dobbiamo avere stima di Dio! Egli opera ed agisce.
Questo sguardo di fede ci aiuta a stare bene, ci riconcilia con noi, ci fa sperare in positivo, non ci fa misurare la realtà in base al nostro limite, ma in base alla forza di Dio. A noi il dirgli, dalla valle della nostra debolezza: “Signore, ti voglio bene; confido in te; aiutami a fare la tua volontà”.
don Giovanni Unterberger