Introito del Giovedì della Terza settimana di quaresima
Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore,
se grideranno a me per qualsiasi tribolazione, io li esaudirò
e sarò loro Signore per sempre. (Sal 36,39.40.28)
(V/ Fai attenzione, popolo mio, alla mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca Sal 77,1)
Siamo a metà quaresima, il giorno in cui tradizionalmente, almeno qui in Veneto, “se brusa la vecia”, ossia si danno alle fiamme tutte le cose vecchie e inutilizzabili che intasano cantine, orti e soffitte. Oggi tale usanza non è più tanto consigliabile dal punto di vista ambientale, eppure la sua forza simbolica resta intatta nel tempo.
La liturgia non è insensibile alle tradizioni del popolo cristiano, tradizioni di cui cerca di comprendere il senso sovrannaturale, riconducendo ogni evento al suo Creatore.
Intuitivamente, bruciare le cose vecchie materiali è anche un invito a bruciare il vecchio che ristagna in noi sul piano spirituale, compiendo un vero e proprio cammino di catecumeni, fino a lasciarci divenire creature nuove.
Ce lo ricorda il fonte battesimale della nostra cara chiesa parrocchiale qui a Santa Giustina Bellunese, sul quale da 500 anni troneggia l’iscrizione SALUS POPULI MEI, le stesse parole dell’Introito odierno. 500 anni di fede, 31 parroci, quasi 50.000 battezzati in quel “fonte della nuova vita, fonte che sgorga dal fianco di Cristo e con le sue acque lava il mondo intero. Da cui fluisce l’onda purificatrice che travolge i peccati e fa sgorgare nuovi germogli di virtù e di grazia.”, come recita lo stendardo che lo sovrasta.
Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore,
se grideranno a me per qualsiasi tribolazione, io li esaudirò
e sarò loro Signore per sempre.
Ma qualcosa va ancora più nel profondo, nella liturgia di Santa Madre Chiesa.
In questo giorno di metà quaresima la stazione in cui veniva celebrata la Santa Messa a Roma era la Basilica dei Ss. Cosma e Damiano, costruita nel VI secolo e dedicata ai due fratelli medici di origine araba, entrambi martirizzati durante la persecuzione di Diocleziano. Vengono invocati per la salute del corpo, dopo che –secondo l’agiografia– dovettero essere sottoposti a ben cinque diversi tentativi di martirio, prima che essi potessero venire uccisi con la decapitazione.
La loro festa liturgica cade nel mese di settembre, ma la Chiesa ha voluto che il giorno che scandisce la metà della Quaresima venga celebrato con il Proprio della Messa di questi due santi nella basilica romana a loro dedicata.
La Missa Salus populi, composta probabilmente proprio per la dedicazione della Basilica dei Ss. Cosma e Damiano, prende il nome dall’introito, chiamato Antifona d’ingresso nel Messale attuale.
Sono spesso ignorate, le Antifone d’ingresso, eppure nel passato il loro incipit dava il nome a tutta la liturgia del giorno, perché esse condensano in un certo qual modo il messaggio spirituale dei testi di quella celebrazione.
Nella lettura, il profeta Geremia riporta il pressante invito di Dio al Suo popolo affinchè ascolti la Sua voce; ma essi non ascoltarono, essi non prestarono orecchio…, ripete Dio allo sfinimento.
Il Salmo responsoriale riprende il salmo 94, il salmo Invitatorio, che a sua volta invita ad ascoltare la voce del Signore e a non indurire il proprio cuore; l’appartenere a Dio suppone una vera conversione del cuore. Non è sufficiente andare in chiesa e praticare la devozione: bisogna cambiare vita.
Il Vangelo racconta di Gesù che scaccia un demonio muto, e, uscito il demonio, il muto incominciò a parlare. Nel piano liturgico della quaresima le guarigioni degli indemoniati manifestano l’azione del Salvatore, che strappa gli uomini dal potere di Satana e ristabilisce in essi il potere di Dio.
Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore…
C’è ancora un motivo per il quale oggi cantiamo questo Introito e la Santa Messa veniva celebrata nella basilica dei Santi Cosma e Damiano: la medicina, nei primi secoli del cristianesimo, veniva guardata con diffidenza; a essa spesso si univa il culto degli déi pagani, e spesso non si distingueva dalle arti magiche. La Chiesa voleva inoltre mettere in guardia dall’eccessiva cura del corpo e dal vivere in un’ansia frenetica per la propria salute fisica, che riflette una mancanza di fede in Dio e, di conseguenza, di speranza nel Suo potere di salvare.
Dice san Basilio a proposito: “Bisogna aver cura di ricorrere alla medicina quando ce n’è bisogno e di certo non attribuendo a essa il motivo della nostra buona o cattiva salute, ma accettando di usare i rimedi che essa ci offre a gloria di Dio e a immagine della cura che dobbiamo avere per le nostre anime. Se poi mancassero gli aiuti provenienti dalla medicina, non dobbiamo riporre in quest’arte ogni speranza di sollievo dai nostri dolori, dobbiamo invece sapere che il Signore non permetterà che siamo tentati al di là di quello che possiamo sopportare (1 Cor 10,13)”.
Ecco dunque che i testi della liturgia odierna ci richiamano – proprio a metà quaresima – a risvegliare in noi l’atteggiamento giusto da avere nei confronti della salute del corpo e dello spirito, quello che i due santi medici predicavano e praticavano: nella loro vita hanno guarito molti pazienti tanto per la loro conoscenza medica, quanto per la loro fede nel potere di Cristo di salvare corpo e anima.
Anche oggi, sofferenti per questa pandemia che ci tocca nella carne e negli affetti, falcidiando parenti e amici cari, vogliamo continuare a credere che, così come Cristo ha guarito molti malati durante il suo ministero terreno, così continua a guarirci anche adesso, presente nella Santissima Eucaristia cui partecipiamo.
E infine ascoltiamo cosa ci dice la musica: ascoltiamo la dolcezza con la quale inizia il brano, nel IV modo gregoriano, il modo più struggente tra tutti, in cui Dio dichiara di essere la salvezza del popolo. Un versetto contenuto in poche note, che indugia ripetutamente nel semitono FA-MI. Quindi lo slancio della seconda frase, che si eleva all’acuto, nella quale il raggomitolarsi dei melismi ben rappresenta le tribolazioni umane, il grido di aiuto e la volontà di Dio di esaudirlo.
E quindi concludere nell’ultima frase, nuovamente più distesa e contenuta, che indugia a lungo sulla nota SOL, nella quale Dio dichiara di essere nostro Signore per sempre.
Dolcezza, struggimento, certezza, salvezza, eternità.
Questo ci annuncia oggi la liturgia, questa è la ‘vecia’ nella nostra anima che vogliamo mettere al rogo per sempre. Jaweh accorre e soccorre ed esaudisce chiunque grida a Lui per qualche tribolazione, e si rivela come il Signore indiscusso e assoluto della storia e della creazione.
Maria Silvia Roveri – 11 marzo 2021
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